La scienza, come materia di studio, può piacere o no, ma ha un “contorno” molto chiaro: non lascia spazio all’emotività. Ogni elemento, ogni evidenza, ogni “causa-effetto” si poggia su fattori razionali. Quello che l’uomo spesso dimentica, adottando comportamenti e stili di vita le cui conseguenze poi non devono stupirci.
All’opposto, si muovono i mercati, molto spesso, se non quasi sempre, dominati dall’emotività, rendendo difficile individuare le chiavi di letture e, soprattutto, adottare le strategie più opportune.
La giornata di ieri è emblematica.
Fino alle primissime ore del pomeriggio, i mercati europei e i futures Usa si muovevano all’unisono, con rialzi piuttosto sostenuti.
Intorno alle 14.00 (ora italiana) sono usciti i dati sull’inflazione americana, “disallineati” verso le aspettative: su base annua la crescita è dell’8,2%, contro l’8,3% di agosto e, soprattutto, l’atteso 8,1%. Ben diverso l’andamento dei prezzi “core”, al netto, cioè, dei fattori più volatili (energia e alimentari), con un’impennata del 6,6% su base annua rispetto al 6,3% di agosto, come non si vedeva dal 1982. L’aumento al mese precedente, l’ìndice dei prezzi al consumo è salito dello 0,4% contro lo 0,1% fatto registrare ad agosto, con la componente core in aumento dello 0,6%.
Nell’arco di una mezz’ora, con una velocità di cui non si ha memoria, le vendite si sono prese la scena, portando tutti gli indici in rosso. In Usa, per fare un esempio, i futures sul Nasdaq, che fino a quel momento facevano segnare un rialzo di quasi il 2%, sono volati fino a raggiungere il – 3%. Sorte analoga per il Dow Jones e per lo S&P 500. Gli operatori, infatti, hanno immediatamente iniziato a prezzare i futuri rialzi dei tassi della FED, dando per certo che i prossimi 2 ritocchi saranno dello 0,75% ognuno, con qualcuno che si è spinto a prevedere un aumento, almeno del prossimo, dell’1%, con il rischio che si vada, alla fine, oltre al 4/4,25% e si arrivi verso il 5%. Anche dall’Europa, nel frattempo, arrivavano notizie non proprio positive: il Presidente della Bundesbank, Joachim Nagel, infatti, rilasciava una dichiarazione in cui ammoniva sul fatto che in Germania, l’anno prossimo, l’inflazione non dovrebbe scendere sotto il 7%, ben oltre, quindi, le stime, invitando, in maniera molto diretta, la BCE ad assumere molto velocemente le decisioni più opportune. L’apertura dei mercati statunitensi, alle 15,30, vedeva gli indici perdere, mediamente, tra il 2 e il 3%.
Ma, passata circa un’ora, la situazione si è capovolta: i recuperi sono diventati ogni minuto più consistenti, con il segno verde che, uno dopo l’altro, ha contraddistinto tutti gli indici, a partire da quelli europei, dove il nostro MIB è risultato il migliore, con + 1,56%, seguito da Francoforte e Madrid. Ancora migliori le chiusure USA, con il Nasdaq a + 2,30%, il Dow Jones a + 2,83% e lo S&P 500 a + 2,60%. E questa mattina “l’onda” si estende ai mercati asiatici, impegnati in un vero e proprio “rally”: Nikkei + 3,44%, Shanghai + 1,80%, Hong Kong + 2,60%.
I motivi? Supposizioni…..
La prima: qualche osservatore ha visto qualche “schiarita” sulle dinamiche dei prezzi, con i primi segnali di rallentamento (in USA è continuato, per es, il calo del prezzi della benzina; anche sul fronte dei mutui cominciano a vedersi segnali di “crisi”, con una domanda che, mese dopo mese, rallenta, a causa del forte aumento dei tassi). Altri, invece, si affidano ad analisi “tecniche”: lo S&P (ha chiuso a 3.669,91 punti), infatti, sarebbe rimbalzato nei paraggi del livello di 3.500 punti, considerato un forte supporto. Altri, ancora, all’inizio della stagione dei risultati trimestrali, immaginano utili oltre le attese da parte di molte società (proprio questa notte, per esempio, a Taiwan, il cui listino sta salendo in queste ore del 2,6%, la Taiwan Semiconductor Manufacturing Company, una delle più grandi società nell’assemblaggio di dispositivi elettronici, sale del 5% dopo aver comunicato che l’utile netto è raddoppiato rispetto all’anno precedente).
Presto, quindi, per dire se siamo alla “svolta” e all’inizio di una nuova fase. Rimbalzo che, a detta della maggior parte degli operatori, potrebbe avvenire quando, finalmente, saremmo arrivati al “pivot” da parte delle Banche Centrali, ovvero il picco al rialzo dei tassi (o alla sua prossimità). Un tempo che, a questo punto, potrebbe non essere così lontano.
Già si è detto della giornata sui mercati asiatici, tutti improntati a consistenti rialzi.
I futures lasciano presagire aperture ovunque sotto il segno del più, con rialzi ben superiori all’1% in Europa, mentre negli Usa sono appena inferiori a quel livello.
In caduta il Vix, che si sta riportando verso i 30 punti, una soglia di maggior “sicurezza”.
Petrolio nuovamente in rialzo, con il WTI che torna a sfiorare i $ 90 (89,49, + 0,33%).
Gas naturale Usa a $ 6,711 (- 0,64%) per milione di Btu (British Thermal Unit). Se si prende come unità di misura il megawattora, il prezzo equivarrebbe a circa € 20.
Oro ancora sotto i $ 1.700 (1.677).
Spread stabile intorno ai 238 bp, con il BTP ad un rendimento vicino al 4,70%.
Treasury sempre a 3,93%.
€/$ a 0,9793, con l’€ in leggero recupero.
Scatta il bitcoin, che si porta nuovamente vicino ai $ 20.000 (19.820, + 4%).
Ps: sta per andare all’asta il pallone con il quale Maradona, nel mondiale messicano del 1986, segnò all’Inghilterra il goal passato alla storia come “la mano de Dios”. Prezzo stimato di partenza? Tra i 2,5 e i 3 ML di sterline. Per fare un confronto, la maglia indossata nell’epica partita da Maradona a maggio è stata battuta, sempre all’asta, per 7,1ML di sterline. Speriamo almeno che il pallone non si bucato.